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Campionati Italiani di Iaido 2023

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ccii iaido 2023
ccii iaido 2023

Modena 2023

di Marco Lassalle

Ed eccoci qui! Come ogni febbraio si sono tenuti i campionati italiani di iaido individuali e a squadre. 

Questo è stato il mio quarto campionato e come le altre volte ho provato un po’ di emozione e tensione nel partecipare, ma anche tanta gioia nel rivedere tante facce amiche. Tuttavia, rispetto all’anno scorso o al taikai di giugno, non ho partecipato alle gare con l’unico scopo di vincere o – almeno – di arrivare in finale. Finale e/o vittoria erano il pass per poter partecipare ai campionati europei poiché eravamo in quattro per due posti e i risultati che si ottengono nelle gare sono un ottimo biglietto da visita per poter essere selezionati. 

Quest’anno, invece, lo spirito che mi ha accompagnato nelle settimane precedenti ai campionati e nelle gare stesse è stato diverso, complice anche la nuova categoria in cui avrei gareggiato (nei nidan è la prima volta che si affrontano avversari con più esperienza all’interno della propria categoria). Questa volta vincere non era il risultato a cui puntare ad ogni costo, per il semplice fatto che la vittoria dipende da te stesso, dall’avversario e – non da ultimo – dai giudici. Lo spirito era quello di mettere il massimo impegno negli incontri, cercando di mostrare il massimo di quello che so fare. Così ho affrontato ogni incontro e alla fine ho conquistato il terzo posto.

Se dalla gara individuale non ho rimpianti, un po’ di delusione c’è per la gara a squadre. Quest’anno abbiamo schierato una formazione inedita, sicuramente non la più forte degli ultimi anni, ma che comunque ha dato tutto per onorare fino in fondo il dojo e i nostri sensei. Per tre di noi non sono stati i migliori incontri del weekend (eccezione fa Mattia che si è meritato fino in fondo il fighting spirit facendo tre incontri strepitosi), ma la voglia di far bene non è mancata e l’impegno è stato massimo. Le parole dei sensei a fine gara ci hanno rassicurato, ma ci hanno anche ricordato che siamo lontani dai nostri reali obiettivi e che dobbiamo continuare ad impegnarci in palestra per migliorare.

Unica nota davvero stonata di questi campionati? Un oste davvero scorbutico!

Marco Lassalle

ccii iaido 2023

Un altro campionato di Iaido è passato

di Claudio Zanoni

Un altro campionato di Iaido è passato.

Questa volta vorrei dare una visione diversa dal solito per quanto riguarda l’arrivo a questo appuntamento annuale. Per tante ragioni il nostro dojo sta attraversando un periodo di “stanca”. Le ragioni sono molteplici: alcuni si sono trasferiti per lavoro, altri hanno semplicemente smesso, altri hanno diminuito l’impegno e così tra un impegno privato e la mancanza di voglia siamo andati ad affrontare questi campionati con una squadra un po’ ridotta da un punto di vista numerico. 

Devo dire che però i ragazzi mi hanno dato un’altra lezione importante. Quelli che erano presenti hanno sicuramente dato il massimo impegnandosi al 100 per cento e questo è quello che ho sempre chiesto a tutti: il massimo impegno. Non sempre è stato così.

Spero che i ragazzi che si sono dati disponibili non fraintendano quello che sto per scrivere ma ero un po’ deluso da come si stava preannunciando la competizione. Sono abituato a numeri elevati e a molto entusiasmo e mi sembrava invece ci fosse poco interesse e poco “spirito di squadra”.

Ancora una volta invece i ragazzi sono riusciti a sorprendermi, se fossimo una squadra di football americano il gruppo presente sarebbe la seconde linee, la linea difensiva ad oltranza, ma hanno preso in mano la situazione e sono scesi in campo con la grinta giusta e la convinzione di dare il massimo. Ci sono riusciti e così è stato per la kiryoku.

Sia negli individuali che nella gara a squadre hanno tirato fuori tutto quello che avevano e hanno regalato alla kiryoku un altro campionato alla grande, forse non in termini di medaglie, ma in termini di grinta, determinazione e sicuramente di attaccamento ed emozioni trasmesse.

Questo dovrebbe essere l’esempio per tutti, questo dovrebbe essere il modo di vivere il dojo, e non aggiungo altro. 

Quindi grazie, grazie, grazie alle cosiddette seconde linee, che si sono guadagnate la prima fila ed il posto d’onore in questa kiryoku e, non esagero, nel mio cuore! Sono molto fiero di voi e mi avete veramente emozionato.

Claudio Zanoni

Parlare di “religioni” in Giappone: shūkyō

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Religione Giappone

Questo articolo inaugura una nuova rubrica sul blog, dedicato all’approfondimento, certamente divulgativo e accessibile a non addetti ai lavori, del tema delle “religioni” giapponesi. In questo articolo ci tengo però a sottolineare come possa essere ambiguo fare ricorso ad una categoria così complessa come “religione” per descrivere un mondo culturale profondamente differente da quello in cui questa categoria è nata e si è sviluppata nel corso dei secoli. Ci tengo poi a sottolineare come questa serie di interventi desideri collocarsi su un piano storico-religioso e descrittivo, e sia privo di giudizi di valore rispetto alle differenti realtà prese in considerazione. Perché questo sia possibile è però necessario problematizzare almeno la parola che utilizzeremo di più, e che più di altre, tra le altre, rischia di generare confusione in chi legge.

La parola “religione”, che si incontra in tutte le principali lingue occidentali, deriva etimologicamente dal latino “religio”. Il termine era già problematico ai tempi di Cicerone, dove indicava, nel quadro del contesto culturale romano, in primo luogo la scrupolosità nell’attenersi a norme rituali tradizionali. Esso subisce un notevole arricchimento semantico in età imperiale, per influsso di alcuni influenti autori cristiani, come Lattanzio e Agostino, finendo ad indicare la cura della peculiare relazione tra l’essere umano e Dio, pur con diverse sfumature. Tra antichità e medioevo, il termine comincia a connotarsi in chiave identitaria, andando ad indicare una religio christiana opposta alla religio romana tradizionale, per finire ad assumere, nel corso del medioevo e della prima età moderna, un significato equivalente a quello di “cristianesimo”. È proprio questa caratterizzazione identitaria ad aver visto il sorgere dello studio storico-critico delle religioni, dal XVIII secolo in poi, sotto l’impulso del razionalismo illuminista. Negli studi occidentali moderni sui fenomeni religiosi di altre culture di interesse etnologico, si tendeva però ad utilizzare il termine “religione” per classificare fenomeni culturalmente molto distanti dalle forme di cristianesimo che si sono imposte in Europa lungo i secoli. In particolare, anche se frequentemente in modo inconsapevole, e spesso per contrasto, si finiva per proiettare le proprie categorie culturali su contesti assai diversi da proprio, andando di volta in volta a costruire identità alternative rispetto a quella dominante, di matrice nordeuropea. Oggi le scienze antropologiche e storico-religiose sono consapevoli della problematicità di questi usi, anche se il termine “religione” resta un utile strumento euristico, pur con i dovuti caveat.

Certo, già il fatto che un termine sopravviva solo come calco dalla sua lingua di origine (il latino), è indicativo della complessità dei fenomeni che possono essere descritti mediante il suo uso. Destino culturalmente simile ha avuto, del resto, anche la parola greca “philosophía”.

Tuttavia, la complessità delle espressioni religiose giapponesi rende problematico l’uso del termine “religione” per descrivere le dinamiche culturali alla base dei culti diffusi in Giappone.

La parola giapponese “shūkyō”, tradotta spesso come “religione”, possiede infatti una gamma di significati non esattamente sovrapponibile rispetto a ciò che si intende in occidente con quest’ultimo termine. “shūkyō”, una parola composta da due ideogrammi, shū, che significa setta o denominazione, e kyō, insegnamento o dottrina, è diventata prominente nel XIX secolo a seguito degli incontri giapponesi con l’Occidente e in particolare con i missionari cristiani, per indicare un concetto e una visione della religione comune nella teologia cristiana, ma in quel momento non presente in Giappone, cioè come sistema teologico ben definito e delimitato da specifiche confessioni di fede, di carattere normativo.

Il termine “shūkyō”, almeno in origine, implica dunque già una separazione tra ciò che è religioso da altri aspetti della società e della cultura, e contiene implicazioni di credo e impegno in un ordine o movimento – qualcosa che non è stato tradizionalmente un elemento costitutivo del comportamento religioso giapponese e che tende ad escludere molti dei fenomeni coinvolti nella cultura del Sol Levante. Quando legato a questioni di credo, evoca idee di un impegno stretto verso un insegnamento particolare ad esclusione e negazione implicita di altri – qualcosa che va contro la natura generalmente complementare e sincretistica della tradizione religiosa giapponese. In “shūkyō” e quindi nell’idea di ‘religione’ c’è una sfumatura a qualcosa di impegnativo, restrittivo e persino invadente, e, in definitiva settario.

Questo è una delle fondamentali motivazioni alla base della reticenza delle persone comuni giapponesi nel definirsi religiose, pur praticando in realtà moltissime attività che un occidentale non esiterebbe a definire tali.

Inoltre, il tema dell’appartenenza ad uno specifico gruppo religioso è ulteriormente complicata dall’immagine generale che le religioni organizzate hanno acquisito nel corso del XX secolo. Il buddismo, in particolare a causa delle sue associazioni con il processo di morte, ha spesso un’immagine piuttosto funeraria e triste, mentre le nuove religioni sono state spesso ritratte dai media come manipolative e piene
di superstizione. Anche lo Shintoismo ha avuto la sua immagine compromessa a causa delle sue strette associazioni con il fascismo nazionalistico del periodo che ha portato alla sconfitta della guerra del 1945, mentre il cristianesimo, nella sua visione universalistica, tende ad essere piuttosto antitetico ai sentimenti di identità giapponese. I sociologi della religione hanno a lungo riconosciuto questo modello generale di rifiuto, negazione di appartenenze specifiche e riluttanza ad affermare l’impegno verso sistemi dottrinali definiti, che tuttavia non impedisce alle persone giapponesi di partecipare a moltissime azioni di azioni direttamente derivate da sistemi religiosi sopra descritti.

Da quanto emerge, i giapponesi amano gli eventi e le attività religiose ma per contro non amano la religione organizzata e orientata ad una specifica dottrina. Pertanto, si può affermare che la caratteristica principale della religiosità in Giappone è il suo focus sull’azione, sulla consuetudine e sull’etichetta.

In questo, molte forme di pratiche (e credenze) che sarebbero considerate marcatamente religiose agli occhi dell’occidentale medio non rientrano nella definizione giapponese corrente di “religione”. Ad esempio, pratiche come la preghiera per i defunti durante il festival di O-bon, pur essendo di chiara origine buddhista, non è considerata come parte di un sistema religioso, ma viene percepita come facente parte della vita quotidiana, come espressione culturale tra le altre. Lo stesso si potrebbe dire di alcuni aspetti delle arti marziali, che pure conservano in esse un innegabile influsso religioso, come nel reiho dello iaido.

Per concludere, occorre fare molta attenzione nel descrivere i fenomeni religiosi giapponesi, e tenere presente che non tutto ciò che per un occidentale può essere ascritto con sicurezza alla sfera del religioso o del sacro può essere percepito nello stesso modo in Giappone. Nei prossimi articoli, cercheremo di approfondire le principali tradizioni religiose presenti su suolo nipponico, delineandone brevemente la storia e l’attuale percezione nella cultura giapponese contemporanea.

Bibliografia:
– Horii M., The Category of Religion in Contemporary Japan. Shūkyō & Temple Buddhism, Springer, Cham 2018, pp. 23-51.
– Kobbert M., s.v. Religio, in RE, Bd. IA,1, 565-575.
– Reader I., Religion in Contemporary Japan, MacMillan, Basingstock 1991, pp. 12-20.

Iaido, il saluto – 3° parte Rei finale alla Katana

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Iaido Torei

Concludiamo con questo articolo la parte dedicata al To Rei classico, dedicheremo poi un ulteriore scritto per il saluto alla spada in piedi.

La 1° parte è visibile qui: il saluto 1° parte shomen ni rei.

La 2° parte è visibile qui: Torei iniziale

Terza parte: REI FINALE ALLA KATANA

Iaido ToRei
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Iaido ToRei

Come sappiamo si parte dalla posizione di Seiza. la prima azione da fare è slegare il sageo, successivamente la mano sinistra porta leggermente avanti la spada.


Iaido ToRei
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Iaido ToRei

A questo punto, la mano destra impugna la spada posizionando l’indice sulla tsuba e a seconda della Scuola si gestisce il sageo.

Nella nostra prospettiva, la mano sinistra distende inizialmente il sageo lungo la spada per poi portarlo all’interno della mano (pollice) destra.


Iaido ToRei
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Iaido ToRei
Iaido ToRei

La mano sinistra andrà a posizionarsi sul fianco sinistro all’altezza dell’obi, e in quel momento la mano destra porta la spada in posizione verticale all’esterno del ginocchio destro. La distanza deve essere quella naturale e ideale a seconda della conformazione del nostro corpo, non si deve piegare troppo in avanti la schiena per posizionare la spada.


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Torei finale iaido

Sempre tenendo la mano sinistra nella posizione precedente, la spada viene distesa davanti a noi (per evitare che il sageo finisca sotto la spada, si può fare un piccolo cerchio verso l’interno con la stessa in modo che il sageo si posizioni tra la spada e le ginocchia), al centro del nostro corpo, in posizione inversa rispetto al saluto iniziale: avremo quindi la tsuba leggermente esterna al ginocchio sinistro. Al contrario sempre del Torei iniziale, in questo caso, la spada non ha un’inclinazione ma segue naturalmente la sua curvatura.

Si distende il sageo, facendo ben attenzione che non esca al di fuori della figura della saya.


Iaido ToRei
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Iaido ToRei
Iaido ToRei
Iaido ToRei

Come in precedenza, viene eseguito il saluto portando in avanti prima la mano sinistra e poi quella destra, ritornando poi alla posizione di partenza prima con la destra e poi con la sinistra.


Iaido ToRei
Iaido ToRei

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Iaido ToRei
Iaido ToRei

Anche in questo caso, si segue l’indicazione della propria scuola per quanto riguarda l’utilizzo del Sageo: la mano destra, sempre utilizzando l’indice, va direttamente alla tsuba e sollevando la spada la porta direttamente vicino al nostro corpo, esattamente al centro, poco davanti alle nostre ginocchia. 

La mano sinistra, a questo punto, partendo dal centro della spada, esegue un movimento verso il basso, come a distendere il sageo lungo la saya, fino a circa 3-4 cm dal kojiri.

Una volta giunta a questo punto, con un movimento fluido, la spada viene riposizionata in posizione di partenza, sulla coscia sinistra, e la mano sinistra recupera al suo interno il sageo, scambiandosi quindi con la mano destra.

Si ritorna dunque alla posizione iniziale, con la mano destra appoggiata naturalmente sulla rispettiva coscia, per poi esser pronti per alzarsi e effettuare lo Shomen ni Rei, come spiegato nel primo articolo.


Iaido ToRei
Iaido ToRei
Iaido ToRei
Iaido ToRei
Iaido ToRei
Iaido ToRei

Ed ecco a voi il video del ToRei finale.

Alla prossima!

Intervista a Takao Momiyama Sensei

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Takao Momyama
English version here

Era il 2021 quando Gabriele Gerbino intervistò Momiyama Takao sensei nel ruolo di arbitro ai Campionati Europei di Iaido (vedi https://www.kiryoku.it/eic-interviews/), quando per la prima volta ebbe modo di chiedergli quali fossero le sue sensazioni, esperienze e difficoltà incontrate in tale ruolo, oltre che la rilevanza di tale campionato per lo Iaido Europeo.

A distanza di qualche anno, il progetto del blog Kiryoku di ripercorrere la storia dello iaido europeo attraverso la vita di coloro che hanno contribuito al suo sviluppo, ci ha portato a bussare nuovamente alla porta di Momiyama sensei per trascorrere con lui un piacevole momento per conoscere qualcosa in più di un’intera vita trascorsa attraverso il budō.

Momyiama sensei, grazie mille per la sua disponibilità a partecipare al nostro progetto, è un piacere incontrarla di nuovo per offrire agli iadoka di tutto il mondo la possibilità di conoscere meglio la sua vita e la sua storia, poiché ha praticato in diverse discipline, ricoperto diversi ruoli e ha così tanto da insegnarci, e non sto parlando solo della tecnica.

Lei è nato in Giappone ma poi ti sei trasferito in Svezia: per posizionarla meglio nel momento giusto dello sviluppo dello iaido europeo, quando è nato e quando ha iniziato a praticare le arti della spada?

Ho 72 anni, sono nato il 5 maggio 1951, e il mio primo incontro con una spada è stato nel 1967, quando ho iniziato a praticare kendo nel dojo del liceo, a 16 anni, ma ho iniziato a praticare judo quando avevo 12 anni, per tre anni.

Successivamente ho iniziato a praticare iaido, era il 1983, e jodo nel 1984 al Komaki dojo di Stoccolma, Svezia, praticando sotto la guida di Komaki Kazuhiro sensei, 7 dan kyoshi Zen Ken Ren e membro della federazione svedese di kendo.

Takao Momyama

Con più di cinquant’anni di esperienza in queste discipline posso immaginare che lei abbia avuto la possibilità di essere parte attiva di diversi dojo contribuendo alla crescita nel budo, insieme alla sua: attualmente, qual è il suo grado nelle varie discipline che pratica?

Infatti, da quando mi sono trasferito in Svezia sono entrato prima nel Komaki dojo dal 1983 al 1987, poi nello Zen Kobudo Centrum, dal 1987 al 2005, e nel Glimminge Budokan dal 2005 ad oggi.

Attualmente sono kendo 5 dan, iaido 7 dan kyoshi e jodo 7 dan kyoshi.

Questo è davvero un grande riconoscimento per un budoka appassionato. Ci direbbe di più sulla sua crescita nel budo? Partendo dai suoi primi passi, come si è poi sviluppato in un impegno totale?

Nel Komaki dojo, Komaki sensei insegnava kendo e iaido e io diventai assistente istruttore di kendo, mentre il sensei invitava tutti i suoi studenti di kendo ad applicarsi anche alla pratica dello iaido. Fin dall’inizio mi è piaciuto molto il kendo kata-keiko, e poi, mentre continuavo a praticare, mi sono reso conto che la pratica del budo o del bujutsu era adatta a me.

Komaki sensei visitò il dojo di Ishido sensei a Kawasaki già nel 1979 o 1980 e lo invitò a Stoccolma nel 1981 dopo il suo viaggio in Inghilterra e in Olanda. Fu in quel periodo che iniziò la mia vita professionale con iaido e jodo, rispettivamente nel 1983 e nel 1984.

Ma è stato il 1981 l’anno speciale per la federazione svedese di budo, quando la delegazione giapponese di budo, tra cui Kaminoda Tsunemori 8 dan Jodo e Iaido hanshi, scomparso nel 2015 all’età di 88 anni, ha visitato Stoccolma insieme a Otake shihan, Katori Shinto Ryu, con suo figlio e Donald Frederick “Donn” Draeger (15 aprile 1922 – 20 ottobre 1982), noto a livello internazionale, insegnante e praticante di arti marziali giapponesi apprezzato in tutto il mondo.

I miei studi sono iniziati con il kendo, e solo qualche anno dopo mi sono avvicinato anche allo iaido e al jodo, quasi contemporaneamente: la mia esperienza nel budo è cresciuta a mano a mano che progredivo su alcune delle basi, come il movimento dei piedi, il lavoro corporeo, il contatto visivo, l’equilibrio, la ricerca di un buon tempismo e di una distanza adeguata, sviluppando poi uno spirito combattivo. 

Tutti dovrebbero studiare efficacemente questi importanti elementi di ogni arte, praticandoli tutti il più spesso possibile e per molti anni.

1990 . Momiyama sensei at the BKA Summer Seminar at Hendon Police College - photo by courtesy of Jock Hopson sensei

Questi sono esempi di dettagli storici davvero interessanti sulle nostre arti marziali che ci piace condividere attraverso queste interviste, insieme a tutte quelle relazioni con insegnanti di cui leggiamo la vita e le storie. Tutto doveva essere costruito da zero in Europa, qual era lo scenario dei dojo di Iaido quando ha iniziato?

È passato molto tempo da quel momento e ricordo piacevolmente che facevamo molta pratica di base e molto keiko eseguendo solo il primo kata Zen Ken Ren Iaido, Mae. 

A quel tempo i kata Zen Ken Ren Iaido erano semplicemente chiamati Seitei kata o Seitei gata.

Posso chiederle di dirci di più sul rapporto con il suo sensei?

Il mio sensei è Ishido Shizufumi, Iaido 8 dan hanshi, jodo 8 dan kyoshi, kendo 7 dan kyoshi, operante sotto la AJKF, All Japan Kendo Federation nota anche come ZNKR, Zen Nihon Kendo Renmei.

Era il 1985 quando incontrai per la prima volta Ishido sensei, durante un seminario estivo a Birmingham: Komaki sensei mi fece conoscere Ishido sensei e a partire dall’anno successivo, 1986, trascorsi due mesi, da giugno ad agosto, a praticare presso l’Ishido dojo a Kawasaki. Da allora, mi alleno allo Shinbukan, a Kawasaki, una o due volte all’anno.

Ora sono uno dei suoi Monjin e anche la persona di contatto per gli studenti svedesi e finlandesi.

Takao Momyama
Momiyama sensei. Photo by courtesy of David Merinero

Indubbiamente ha potuto approfittare della guida di vari sensei in Europa così come in Giappone: ha riscontrato differenze tra i loro modelli di insegnamento? C’è qualche differenza tra il rapporto che ha con il suo sensei rispetto al suo rapporto con i suoi studenti in Europa?

Generalmente, il metodo di insegnamento giapponese è orientato a passare molto tempo a guardare ciò che il tuo sensei sta mostrando quando esegue un kata, quindi gli studenti cercano di ripetere ciò che il sensei ha appena fatto. Questo è Mitori Keiko.

Un vantaggio di questo modello di insegnamento giapponese è che gli studenti dedicano più tempo allo studio autonomo e alle lezioni individuali.

D’altra parte, la mia comprensione dell’approccio occidentale ruota attorno all’allenamento di gruppo, dove gli studenti eseguono i kata insieme. La mia esperienza personale con il modello di insegnamento occidentale è invitare gli studenti alla formazione di gruppo piuttosto che dedicarsi allo studio autonomo.

Takao Momyama
Momiyama sensei. Photo by courtesy of David Merinero

Quindi pratica e insegnamento sono profondamente interconnessi secondo l’approccio orientale: quando ha iniziato a pensare all’insegnamento e ha sviluppato un visione personale su quale possa essere la classe preferita?

Ho iniziato ad insegnare iaido nel 1987: a quel tempo nel nostro dojo c’erano tre bambini che volevano praticare iaido e jodo, e questo è stato il motivo per cui ho iniziato ad insegnare. Tutto ciò che ho insegnato loro nei miei corsi è stato quello che ho imparato da ogni seminario estivo che ho frequentato in Inghilterra e in Olanda, e poi anche in Germania, praticando con Ishido sensei.

Successivamente ho smesso di insegnare iaido o jodo ai ragazzi di età inferiore ai 15 anni, preferendo invitarli piuttosto a frequentare corsi di altre arti marziali come Judo, Jujutsu, Aikido o Kendo in altri dojo.

A parte la preferenza di età, ho sempre insegnato a piccoli gruppi nei miei corsi, in modo da permettere ai praticanti di potersi sviluppare lentamente mentre cercano di studiare il budo insieme, attraverso gli insegnamenti che derivano da Ishido sensei.

Takao Momyama

Quindi si tratta solo di età e dimensione del gruppo. Ora ha decisamente plasmato i suoi corsi, come si sviluppa un sua tipica lezione di iaido?

Il mio approccio tipico alle lezioni di iaido si basa su una progressione attraverso i fondamentali. I primi studenti che si avvicinano allo iaido devono praticare nuki tsuke e noto per tre mesi prima che io inizi a insegnare il primo kata. Di solito fornisco ai miei studenti tutte le informazioni che ottengo da Ishido sensei, e tutte le novità future che potrebbero essere di qualche interesse e rilevanza. Mi piace pensare al mio dojo come a un laboratorio di Iaido per coloro che vogliano studiare iaido con i propri tempi e chiunque pratichi nel mio dojo deve essere considerato uno studente, incluso me stesso.

Takao Momyama

Tornando alla sua cinquantennale carriera nel budo, ha sicuramente attraversato diverse epoche e livelli di maturità dello iaido: c’è un modo per definire i suoi cambiamenti nel corso degli anni?

Durante tutta la mia vita nello iaido ho capito che lo iaido in sé non è mai cambiato, ma il modo di studiarlo è cambiato continuamente, specialmente per coloro che sono membri EKF e IKF: ad esempio, oggi abbiamo dodici forme di iaido ZNKR, non erano così tanti all’inizio.

Poi abbiamo diversi koryu da studiare, secondo la scuola che segue il tuo dojo: la nascita di ZNKR ha portato più persone all’interno dell’IKF a praticare meno koryu, e questo è forse il più grande cambiamento a cui stiamo assistendo oggi.

D’altra parte, ZNKR iaido ha contribuito notevolmente alla crescita dell’interesse per lo iaido anche al di fuori del Giappone, e questo è qualcosa di molto positivo che non dobbiamo dimenticare.

Takao Momyama

È sempre così interessante discutere di come le diverse culture influenzino la pratica di qualcosa e quali valori possano essere considerati in modo diverso, e così spesso discipline come lo iaido sono miniere d’oro di cui poter parlare. Come per ogni disciplina c’è così tanto dietro la pura azione “sportiva”, ma ritiene che lo iaidoka non giapponese possa veramente capire la cultura e la “filosofia” dietro lo iaido?

Onestamente, questa è una domanda molto difficile per me. Credo che ci siano degli autorevoli riferimenti per rispondere a questa domanda, come Jock sensei e Louis sensei.

Posso dire che il motivo per cui ho deciso di andare a Kawasaki, in Giappone, dove Ishido sensei ha il suo Shinbukan dojo, è stato perché ho visto la sua esibizione a Birmingham, nel 1985. Volevo capire molto più profondamente la cultura e la filosofia giapponese. Credo che il modo migliore per gli iaidoka non giapponesi di abituarsi meglio allo iaido sia sperimentare la vita in Giappone e imparare a parlare giapponese, come punto di partenza.

Il mio modo personale di cercare di capire meglio lo iaido è quanto profondamente riusciamo a capire di quello che facciamo nella nostra vita quotidiana. Cerco di fare keiko il più possibile e di studiare lo iaido il più profondamente possibile solo per comprendere qualcosa.

Takao Momyama

Continuando sullo stesso argomento per una migliore comprensione dello iaido e del suo sviluppo, cosa pensa del futuro dello iaido europeo?

È fondamentale che lo iaido sia praticato e studiato con la massima profondità possibile. È anche importante trasmettere ciò che impariamo dal nostro sensei, quindi se continuassimo a studiare in modo competente e continuassio a ospitare seminari come facciamo ora, avremmo successo nel fornire un buon iaido alle generazioni future.

Takao Momyama

Ancora una volta siamo giunti alla fine di questa piacevole nuova discussione senza renderci conto di come voli il tempo quando affrontiamo argomenti che amiamo con persone così disponibili. Ci sono tante altre domande che vorrei farle che potrebbero richiedere parecchio tempo, quindi per non abusare della sua gentile disponibilità le proporrei un breve gioco, chiamiamolo 3x3x3: tre domande a cui rispondere in tre secondi con tre parole. Ok, sto scherzando, può usare qualche parola in più.

Un profondo ringraziamento, Momiyama sensei, per i tanti preziosi dettagli sulla sua vita ed esperienza, e arrivederci ai prossimi seminari o campionati europei.

Pronto per il 3x3x3? Via!

Cosa consiglierebbe a un giovane iaidoka principiante?

Fare tanta pratica.

(poiché domani è il primo giorno di quello che rimane della tua vita)

Qual è un insegnamento del budo che le piace trasmettere in modo particolare?

Studiare il “rispetto”.

Cos’è per lei lo Iaido, il suo significato, cosa le offre?

Una parte della mia quotidianità.

Takao Momyama